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L'orto di Torino e il timballo di couscous

Con questa seconda ricetta voglio raccontarvi la storia di un altro orto, questa volta a Torino la mia città.
E' un ricordo di molti anni fa, quando giovane padre, portavo i miei figli ai giardinetti e passando li davanti  mi beavo di  tanta bellezza...

 L'orto medievale di Palazzo Madama nel cuore di Torino
A Torino un giorno, quando i miei figli erano piccoli, fra due palazzine di cinque piani, un vecchio signore coltivava il suo piccolo orto. Era uno fazzoletto di terra, circa 10 x 5 mt, ed era un incanto. Passavo di li ogni volta, per guardare quel piccolo giardino, una bomboniera in mezzo ai palazzi. Il vecchio imperterrito curava il suo orto incurante della gente che passava. I suo cavoli, le sue insalatine, le sue zucchine facevano mostra di se come fossero stati fiori, i vialetti che dividevano i quadrati del giardino erano in terra battuta e talmente perfetti da sembrare vassoi smerlati. A lato dell'orto alberi di mele e di pere di arrampicavano su un lato del palazzo, potati a dovere sembravano nati per stare li a ridosso del muro. L'orto dava i suoi frutti, belli e rigogliosi, ed io provavo quasi invidia per quel vecchio che riusciva a rendere così bello quel lembo di terra, inghiottito dai due palazzi. Immaginavo pappe di verdure meravigliose per i mie figli, pomodori così belli da poter essere mangiati con delizia. Tutto intorno cambiava, ma per il vecchio il tempo era fermo, il suo orto era la sua vita, un orto che si atteggiava a giardino importante, mentre le rose fiorivano ai lati dell'inferriata che divideva la terra dal marciapiede. Un giorno chiesi se mi vendeva della verdura, e lui con grande fierezza disse che coltivava solo per se e per la sua famiglia. Capii che era orgoglioso del suo lavoro e non andai ad insistere, ma dentro di me speravo di poter attingere alla stessa fonte e di potermi riempire le mani di ortaggi. Le stagioni si alternavano ed un bel giorno a primavera il terreno rimase incolto. Il grande vecchio non c'era più, il suo magnifico giardino aveva finito di deliziarci di colori e profumi. Sparirono le mele e le pere, le rose e i vialetti, morì tutto insieme a lui. Non gli ho mai detto quanto sia stato orgoglioso del suo orto e me ne dispiace, ho conservato per me l'ammirazione che avevo nei suoi confronti e a volte ci ripenso e trovo che sia stato giusto che non mi abbia venduto nulla, ho capito che quel lavoro, quel cesello era solo per se stesso e come un'opera d'arte si guarda ma non si tocca.

Con il timballo freddo di couscous partecipo al Contest di cook 'n' book "Voglia d'Orto - Maramao perché sei morto?"


Ingredienti

1 bicchiere di semola di couscous
1 bicchiere di acqua o brodo
Olio extravergine di oliva
1 ricciolo di burro
1 cucchiaino di spezie per couscous
mezzo porro tagliato a fettine
1 carota media
10 pomodori datterini
1 spicchio d'aglio
qualche foglia di basilico
1 ciuffo di prezzemolo
1 filetto di acciuga
3 capperi dissalati
sale 
pepe

Mettete sul fuoco l'acqua in un tegamino con un cucchiaio di olio e appena raggiunto il bollore, salate, versate le spezie e il couscous e lasciate che questo assorba tutto il liquido
In un altro tegamino versate l'olio con i pomodori tagliati a metà, i capperi e il filetto di acciuga con l'aglio,  fate saltare e quando i pomodori si sono ammorbiditi, aggiungete del basilico e spegnete la fiamma.
Lavate e lessate la carota, tagliandone poi una metà a bastoncini e l'altra in piccoli pezzi
In un tegame con il burro e l'olio, fate saltare le carote tritate e le rondelle di porro. Salate e pepate.
Sgranate il couscous e aggiungete la carota sminuzzata con il porro e il trito di prezzemolo, aggiungete a filo dell'olio e fate raffreddare.
Su di un piatto, dentro ad  un coppa pasta leggermente oleato all'interno, fate uno strato di couscous pressando con il cucchiaio, aggiungetevi sopra i pomodorini conditi, guarnite con le carotine a bastoncino, un filo di olio e del pepe. Se preferite, avvolgete il timballo con un nastro di porro appena lessato.

Commenti

  1. Il modo con cui descrivi le tue ricette e tutto il contorno lascia trasparire la tua delicata vena artistica. Questo racconto del vecchino e il suo orto mi porta tanto indietro nel tempo, in quell'adolescenza ricca di cose semplici e meravigliose.
    Io ho potuto gustare le verdure dell'orto fino ai vent'anni circa, quando la casa della mia famiglia materna nel vercellese era ancora viva. Oltre all'orto vero e proprio c'era in cortile un filare di pomodori. La posizione era particolare: dietro all'antico porcile e dirimpetto alla fontana. Io in vita mia non ho più mangiato pomodori con quel sapore: buccia sottile, pochi semi e tanta polpa. Ogni volta che passavo lì davanti, non potevo fare a meno di prenderne uno e mangiarlo ancora caldo di sole. Vietato lavarli. Non ce n'era bisogno. Zia Pi li lasciava rigorosamente "nature".
    Laura

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    1. Cara Laura, la nostra anima contadina prevale su quella cittadina e i tuoi ricordi sono molto simili ai miei. Devo ringraziarti perché mi segui con attenzione ed io sono contento che tu sia una mia amica. Spero di trasmettertii oltre alle ricette anche un po' della mia voglia di raccontare e di raccontarmi, e spero sopratutto di non annoiarti mai. Grazie ancora

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  2. Grazie Armando per aver raccontato di nuovo questa storia dolce e commovente. Grazie mille. Da poco sono stata a Torino, per il Salone del Gusto. A Torino sono legati miei ricordi di infanzia, quando da Roma partivamo in treno e ci fermavamo a Torino aspettando che scaricassero la nostra macchina per raggiungere Cogne. Torino era una tappa fissa. Il racconto di questo orto mi ha fatto ricordare anche di quei tempi e di chi non c'è più, mio fratello. Lui adorava Torino.
    Grazie per questa ricetta fresca e garbata. Purtroppo non riesco a trovare l'altra ricetta al link che mi hai indicato. Risulta cancellata e non l'ho trovata neanche cercando sul tuo blog. Aspetto tue indicazioni e nel frattempo inserisco questa, va bene? Grazie ancora e in bocca al lupo. A presto.
    Sabina

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    1. Sono felice cara Sabina, che la mia città sia parte dei tuoi ricordi. La ricetta è un pretesto, perchè la storia (verissima) era così bella da dover essere raccontata. Spero tuo fratello sia sempre qui, se amava Torino capiterà di guardarla dall'alto, per lui ora è tutto è possibile. Grazie per l'incoraggiamento, mi sento spronato a continuare e questo mi fa felice. Viva il lupo (poverino), un grosso saluto anche a te. A risntirci

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    2. Ciao Sabina..........non ti conosco. Però sono cognein d'adozione, dove tuttora vado a rifugiarmi nel piccolo villaggio di Lillaz.
      Per caso fai parte della "banda" dei romani che abitavano in via Clapey? Vicino alla famiglia Mapelli? Vicino alla Gladys? Se si........magari ci ricordiamo l'una dell'altra inconsapevolmente.
      Laura

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    3. Laura pensa se vi conoscete? le combinazioni a volte....

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  3. Ciao Laura...pensa che nel lontano 71, quando avevo 5 anni, abbiamo cominciato con Lillaz. Prendevamo in affitto una casetta con il bagno esterno. Non c'era turismo all'epoca e ancor meno turismo romano. Poi siamo passati a Cretaz e non ci siamo mossi più. Prima da Berard e poi da Cuaz. La banda di romani era formata all'epoca solo da mio fratello, me e i figli di una coppia di amici, Guido e Lucia. Così fino ai miei 18 anni. La mia comitiva era formata da figli di marinai liguri di Recco, Genova e Camogli e poi figli di dipendenti della Fiat di Torino. Qualcuno veniva da Milano, da Novara e da Vercelli. Era bellissimo ritrovarci tutti insieme estate dopo estate. Ci scrivevamo lettere per tutto l'inverno. Non vado più a Cogne da quasi 30 anni e non so se ci tornerò. Soffrirei a vederla cambiata, io me la ricordo un paesino di gente semplice con poco turismo. E poi la storia di Samuele mi ha sconvolta. Io da bambina entravo in tutte le case dei paesani che ci ospitavano sorridenti. Eravamo al sicuro lì. Un posto sicuro per i bambini. E non sopporto l'idea che un bimbo abbia trovato lì una morte così orrenda. I ricordi più belli della mia infanzia sono legati a Cogne. Al Prato di San Orso ho imparato a fare le bolle con la gomma americana, andavamo alla vecchia miniera abbandonata, ci buttavamo sui covoni di fieno, mangiavamo uva spina, prendevamo il sole lungo il torrente e la sera portavamo il latte appena munto porta a porta aiutando un ragazzo del paese. Laura dimmi che ancora così....:)))) Ti abbraccio

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    1. Nell'estate del 71 soggiornavo in via Linnea Borealis. Ho sempre sognato di acquistare quell'appartamento. Era molto grande e lo dividevamo con mia madrina. (Una pacchia. E' da lei che ho imparato a cucinare). Purtroppo non potemmo continuare ad andare lì perchè la proprietaria, che era molto anziana, non faceva alcun lavoro di manutenzione. Praticamente, appena passava una nuvola, ci pioveva in casa! E' rimasta semi-abitata per decenni fino ad un paio d'anni fa quando è stata sventrata e quasi totalmente ricostruita. Il nostro appartamento aveva un piccolo terrazzino con vista sulla catena del Granpa. E' stato sostituito da balconcini stretti e lunghi. Che altro ti posso dire??? E' un fatto che si commenta da se. Cogne è diventata più turistica di quanto tu possa ricordare. Niente se paragonata a Coumayeur. Però quel tanto che basta per non trovare parcheggio nei periodi "caldi". Per me è sempre bellissima. In un posticino in fondo al cuore dico che quando andrò in pensione mi stabilirò là. Non accadrà mai perchè, nonostante sia più grande di te (ho 50 anni - 9 nel 71) temo che non riuscirò ad arrivarci. Conosco bene ogni ciottolo, ogni sentiero, ogni storia. Purtroppo, oltre a quanto accaduto a Samuele, un paio d'anni fa a Lillaz (che è totalmente cambiata anche a causa dell'alluvione del 2000) si è ucciso Borney la guida. Era a cavallo dell'8 dicembre. Io, grazie al cielo, non ero salita. Purtroppo il fatto si è consumato nel condominio vicino a quello dove vivo io. Ora ti saluto. Dimenticavo.......Il romano mio "quasi" coetaneo che ricordavo si chiamava Fabio. Scrivimi........io adoro parlare di Cogne :-)

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